giovedì 29 novembre 2012

Discendenza Muta.




«Guardami.»
Avrebbe voluto rispondere. Dirgli di andare a farsi fottere, per il semplice e puro piacere di istigarlo e far accrescere la rabbia nei suoi confronti.
Avrebbe voluto, ma non ci riuscì: la sua gola era arida come il deserto nel quale si trovava la base in cui l’avevano condotto.
Non avevano fatto altro che interrogarlo, promettendogli in cambio qualcosa che non avrebbe ricevuto: la libertà. Non era incosciente, sapeva bene che la sua unica ricompensa sarebbe stata – nel migliore dei casi – una pallottola in mezzo agli occhi.
Il suo corpo? Gettato in pasto ai Coyote Tera.
Di conseguenza non aveva detto una parola su ciò che volevano sapere; in quattro giorni non avevano ricevuto alcuna informazione da parte sua… e lui non aveva ricevuto cibo né acqua. Tutto ciò che gli avevano dato era stata una cosa che credeva ormai fuori produzione e di cui da piccolo andava ghiotto: una Gibsy Bum. Non lo sfiorò nemmeno, chissà con quali tipi di droghe avevano imbottito quel confetto. Più di una volta si era chiesto se la sua continua nemesi, quel gruppo chiamato Pragmatici, fosse composta da gente talmente idiota da credere che lui avrebbe ceduto davanti ad un chewingum. Aveva provveduto a farlo sparire, schiacciandolo sotto il peso dello scarpone.
Gli interrogatori erano continuati; le torture erano all’ordine del giorno; l’acqua solo un miraggio. Non l’avevano però ucciso: serviva vivo se volevano arrivare al loro scopo ultimo.
Fortunatamente aveva ancora i bottoni della giacca ormai logora: metterli in bocca e succhiarli manteneva in circolo la salivazione, evitando così la disidratazione. Aveva sfruttato quel trucco sin dal primo giorno di prigionia… fino a due giorni fa. Aveva visto il calcio di un fucile colpirlo sul viso, e si era risvegliato solo con dei boxer addosso.
Era finita, pensò inginocchiato mentre le raffiche di vento colpivano il suo corpo deturpato da molteplici cicatrici. Se non l’avessero ucciso sarebbe morto di sete.
Non gli importò più.
Aveva ormai parlato contro la sua volontà: da parte sua si era limitato a perdere i sensi per aver superato la soglia della resistenza fisica, il resto l’aveva fatto il siero della verità iniettatogli dopo aver ripreso coscienza.
Perché non ci avevano pensato prima? Perché spingerlo fino a quel punto?
La risposta arrivò subito dopo. Che stupido, era logico.
Il suo dono. La sua dote. Si era indebolita tanto quanto lui, diventando quindi vulnerabile. Aveva rivelato inconsciamente la posizione degli altri otto membri del suo gruppo.
Il suo compito era finito.
Non aveva opposto resistenza quando l’avevano preso con la forza e gli avevano legato i polsi dietro la schiena per poi condurlo all’esterno. La luce di una falce di Luna, che illuminava il deserto e la vegetazione, gli aveva fatto capire di essere ancora in Arizona… o forse nel Nevada. In quel momento, un luogo valeva l’altro.
«Vince Steel! Mi hai sentito?»
Una mano gli afferrò i capelli sporchi di polvere, costringendolo ad osservare l’ammasso di muscoli che aveva di fronte. Gli occhi grigi di Vince puntarono quelli color ghiaccio dell’uomo dalla carnagione scura.
Cos’altro voleva da lui?
«So bene che se tu potessi, uccideresti me e tutti i miei uomini. Spazzeresti via questa base in qualche secondo» sussurrò a denti stretti l’uomo il cui cognome, da quanto riportava la targhetta dell’uniforme, era Parker. «Credendo così di aver sconfitto i Pragmatici, proprio come pensavano di aver fatto i vostri antenati del 2603. O ancora prima: nel 2012, quasi un millennio fa.»
Il cuore di Vince parve fermarsi all’improvviso.
Mille anni. Quella lotta andava avanti da così tanto tempo… e chissà da quanto prima.
Tentò di deglutire, ma il dolore che gli provocò quel semplice gesto lo portò a stringere i denti e gli occhi.
«Fortunatamente nel tempo i vostri protettori si sono estinti uno dopo l’altro. Quegli…Eclettici. Non facevano altro che ostacolarci e proteggervi.»
«Non so…» sussurrò il ragazzo trentenne.
Parker tirò con più forza i capelli di Vince tendendo l’orecchio. «Come dici?»
«Non so di cosa parli.»
L’uomo ridacchiò beffardo alzando gli occhi verso la Luna. «Ovvio che no. Ma non importa, non sono più un problema da parecchio tempo. Così come non lo sarai tu.»
 Ecco quindi l’ora X. Avrebbe lasciato i suoi compagni al loro destino, spezzando così la discendenza delle Muse. Chiuse gli occhi e prese una grande boccata d’aria ricca di terra che gli bruciò in gola.
«Nonostante io lo desideri, ho l’ordine di non ucciderti» affermò Parker. «Ma ti sei chiesto come il diretto discendente di Euterpe potrebbe invocare le tre Grazie, se qualcuno gli tranciasse di netto la lingua?»
Vince sgranò gli occhi terrorizzato. Avrebbe preferito la morte piuttosto, ma quella gli era stata negata. Prima di poter rendersi conto di cosa stesse succedendo, avvertì la mano dell’uomo afferrargli la lingua e tirarla a sé come se volesse strappargliela.
Il sibilo colpì il suo udito.
Un’esplosione di dolore alla bocca, e il sangue sgorgò.


***

Eccolo qui, il racconto con cui sono entrato in gara per il concorso NetFace, indetto da  Francesco Falconi. Per chi ancora ne fosse all'oscuro, era un contest (o per meglio dire, un concorso letterario) che permetteva, a chiunque fosse appassionato di scrittura, di dare il meglio di creando un apposito racconto breve che fosse collegato in qualche modo all'universo del romanzo Muses, nato dalla mente dello scrittore. Il vincitore avrebbe visto il suo racconto pubblicato in appendice nel secondo volume della saga, in uscita nel 2013.
Ci tengo a dirvi che la prima posizione non è spettata al sottoscritto ma al racconto "Oblio su tela" di Danilo Campitelli (con cui si è instaurata una minima confidenza proprio grazie a NetFace), la cui vittoria è stata meritatissima. 
Eppure mi ritengo più che soddisfatto. Dei 35 racconti in gara, ho avuto la possibilità di rientrare nella "Top Ten" insieme al mio carissimo amico Maurizio Carnago. Contando, inoltre, che la giuria era composta anche da editor Mondadori, la soddisfazione è maggiore. 
Come avete già visto, il racconto può essere letto tranquillamente senza bisogno di aver letto il romanzo attorno al quale ruota la vicenda di Vince Steel.
E adesso voglio finalmente levarmi dei sassolini dalle scarpe e dirvi perchè ho fatto delle determinate scelte, cosa che non potevo fare prima che il vincitore fosse stato proclamanto.
  • La presenza di un protagonista maschile: non so se è stata una scelta stupida o originale, ma nel romanzo viene specificato che, sebbene il potere delle Muse sia sempre stato tramandato da madre in figlia, in rari casi vi erano anche individui di sesso maschile ad avere il suddetto dono. Ebbene, Vince era il "raro caso". Senza contare che...
  • ...il periodo temporale nel quale si svolge la vicenda, non è il nostro presente: è stata una decisione azzardata, lo so bene. Specialmente se si conta il fatto che con molta probabilità la fine di Muses 2 non permetterebbe l'esistenza di Vince così come l'ho descritto nel racconto. Ovviamente l'ho scritto senza badare a ciò che potrebbe succedere nel secondo volume della saga, ma ho pensato cosa potrebbe succedere se l'anno corrente non fosse più il 2012 con Alice come la più potente delle Muse, ma nel 2987. Cosa sarebbe cambiato? Dove sarebbe stata l'ambientazione? L'Evoluzione Darwiniana come si sarebbe manifestata?
    Come avete letto, non è un futuro ricco di elementi fantascientifici o navette spaziali e rotte verso altri pianeti. Ci sono nuove specie animali, tra cui i Coyote Tera, ma niente di particolamente eclatante.
    E' un futuro distopico, simile al nostro presente ma più cupo e angosciante. L'ambientazione si sposta dall'Europa del presente di Alice (Roma, Londra, Parigi), al continente Americano (Arizona e Nevada)... e questa è semplicemente stata una scelta personale, dato che sono affascinato da quei luoghi di una bellezza oltre ogni limite. Essendo passato quasi un millennio inoltre, Vince non viene più contato come "raro caso"... il potere delle Muse viene ereditato anche da individui di sesso maschile, senza che questo appaia come un evento strano; l'Evoluzione Darwiniana ha agito affinchè ciò accadesse via via nei secoli.
  • L'estinzione degli Eclettici: ci voleva l'elemento negativo della vicenda. Nessuna protezione per i nove, nessun ostacolo per i Pragmatici. Vince e gli altri otto sono braccati quasi come se fossero animali, e ho preferito che non ci fossero ostacoli di alcun tipo tra loro e i Pragmatici. Ognuno, in quel futuro, deve esclusivamente pensare a se stesso e alla propria sopravvivenza.
  • La Gibsy Bum: non c'è alcuna spiegazione che io possa dare a riguardo. E' semplicemente il mio "marchio di fabbrica". Dopo averle create per un racconto che è stato scelto per la pubblicazione, adesso inserisco queste inesistenti chewingum praticamente in tutto ciò che scrivo (chi ha letto Project Sun ne sa qualcosa). Devo dire che è divertente vedere come possano esistere in contesti ogni volta differenti; anche in questo caso, mi sono divertito a trovare un modo per far fare la loro comparsa nella storia di Vince.

     
Fine dei sassolini :D

Grazie per la vostra attenzione!

lunedì 20 agosto 2012

Favore

Sì. 
Chiedo proprio un vostro favore al momento. 
La motivazione? Ve la illustro subito.

Si chiama NetFace.

Prima di parlarvene però devo fare un passo indietro.
Vi ricordate quando tempo fa vi dissi che avevo vinto un libro grazie ad un Fan Trailer creato appositamente per l'uscita in libreria di Muses di Francesco Falconi?
Bene, il libro l'ho letto e mi è pure piaciuto moltissimo, anche se con il Trailer che avevo creato c'entrava ben poco... ma questi sono dettagli trascurabili.
Dato che il finale lasciava presagire che ci sarebbe stato un seguito a mo' di fine stagione di una qualunque serie televisiva, l'autore ha confermato che ci sarebbe stato un secondo libro per questa storia.



E qui entra in gioco quel NetFace di cui avevo accennato prima.
Non è altro che un'iniziativa, a parer mio fantastica, collegata al mondo creato dall'autore del romanzo. Per l'appunto, è un vero e proprio concorso in cui ogni partecipante deve creare un racconto di 5000 battute al massimo il cui tema deve ruotare intorno ai concetti presenti nel libro. La scadenza è per l'1 Ottobre e tutti i racconti inviati verranno sottoposti ad una giuria composta da veri professionisti. 
Cosa si vince? 
Di certo qualcosa di davvero succulento: la pubblicazione, a titolo gratuito, del racconto vincitore all'interno del seguito di Muses (che uscirà nel 2013 edito da Mondadori). 

Se qualcuno si stesse chiedendo perchè ho chiesto un vostro favore, la risposta dovrebbe essere quasi ovvia.
Ho partecipato anche io, scrivendo un racconto e mettendomi in competizione con altra gente. 
Il titolo è Discendenza muta e sebbene ruoti intorno ad un universo non creato dal sottoscritto, esso può essere letto come se fosse una storia a sé stante. Quindi non preoccupatevi se non avete letto il romanzo Muses, questo racconto non vi confonderà nessuna idea.
Può essere trovato facilmente cliccando QUI, iscrivendovi al gruppo; nella sezione "File" cercate il racconto e buona lettura.
Ciò che vi chiedo è non solo il vostro sostegno, ma anche qualcosina in più. 
Da qualche giorno infatti è partita una gara di "Mi Piace". La motivazione è ancora ignota, ma deduco che chi ne riceverà di più avrà qualche vantaggio o agevolazione in più.
Quindi vengo al succo: se volete (sempre e solo se volete) e se il racconto vi sarà piaciuto, mettete un "Mi Piace".

Vi ringrazio in anticipo e ovviamente vi terrò aggiornati sugli sviluppi!

martedì 3 luglio 2012

Io non sono cattivo



Piano 2
Un suono tintinnante. Vedo le portiere aprirsi davanti ai miei occhi, permettendo all’anziana donna settantenne di entrare nella cabina. La scruto con la coda dell’occhio: alta un metro e cinquantotto, più o meno; ha braccia sottili e mani tozze mentre la pelle, sebbene raggrinzita, non riesce a mascherare la perduta bellezza che un tempo ormai lontano possedeva. Non riesco a vederle il colore degli occhi, ma la mia mente inspiegabilmente crede che siano azzurri. Be’, accontentiamola: la donna ha gli occhi azzurri e i capelli bianchi raccolti in uno chignon; indossa un paio di occhiali da vista che le scivolano sulla punta del naso.
Ad un tratto la riconosco.
Dannazione! Come diamine ho fatto a non accorgermi di avere Granny al mio fianco, l’amorevole nonnina di Gatto Silvestro e Titti?
«Giovanotto, potrebbe dirmi che ora segna il suo orologio?»
“Non ridere, non ridere” penso appurando che perfino la voce è identica a quella del personaggio dei cartoni.
«Sono quasi le 18:20. Le 18:17 per essere precisi» le dico con serietà dopo aver osservato l’orologio.
«Caspiterina è davvero tardi. Ma non posso ritardare. A casa il mio piccolo gatto mi aspetta. Chissà che colpo potrebbe prendergli se non mi vedesse tornare.»
Ho una voglia matta di chiederle se il gatto in questione si chiami Silvestro e ciò non fa che aumentare la mia voglia di ridere, ma mi sforzo affinché io non lo faccia.
La vecchietta continua ancora a parlare del suo amato gatto che la rende felice, o forse sta parlando di qualcos’altro. Non posso saperlo. I miei pensieri sono rivolti in altre direzioni, ben differenti dalle problematiche dell’anziana donna.
Sembra così cordiale e simpatica con me. Come cambierebbe la sua opinione se solo sapesse…
A volte mi chiedo cosa avvenga all’interno del cervello di un essere umano quando punta il dito contro qualcuno accusandolo di essere malvagio, o come viene più comunemente detto, cattivo. Negli ultimi tempi, in particolar modo, questo quesito mi rimbomba in testa continuamente e non posso far nulla per smettere di pensarci.
La mattina, appena sveglio, non spero altro che al notiziario delle 8:00 non ci siano notizie sconcertanti: uccisioni, rapimenti, stupri, truffe e chi più ne ha più ne metta. Lo spero, non tanto per la notizia in sé – sono ormai abituato alla dura realtà della vita, e coprire occhi ed orecchie sarebbe solo un pretesto per non accettare il mondo in cui viviamo – ma semplicemente per non vedere i volti di coloro che accusano i responsabili di quei crimini, tantomeno per sentire le loro tediose testimonianze verbali.
Odio vedere gente con le mani davanti alla bocca, con gli occhi sgranati o con un’espressione di rabbia nei loro volti. Tutti raccolti nelle zone vicine al luogo in cui è stato commesso il reato, come se ci fosse il ‘prendi tre e paghi due’ in un vecchio e squallido minimarket del centro.
Formiche. Ecco cosa sembrano. Formiche vicino ad un formicaio: un buco nero nel terreno contornato da una moltitudine di puntini agitati che aspetta solo una suola che cali violentemente su di esso, radendo tutto al suolo e causando uno sterminio di massa. 
Ammetto che mi divertirei parecchio se vedessi un enorme piede schiacciare quella folla ammucchiata, facendone una frittata di sangue e ossa.
Le mie orecchie si rifiutano di ascoltare le loro parole di dissenso, ricche fino all’orlo di perbenismo mentre sputano ad un microfono la loro morale, solamente per inabissare sotto un mare di fangosi vocaboli colui che è reo del crimine in questione. 
Sono stufo delle loro schifose sentenze; che se le tengano per loro e non facciano quelle stupende comparse davanti ad una telecamera, accusando qualcuno che non hanno mai visto.
Sarebbe una soddisfazione verificare se avessero il coraggio di dire le stesse cose davanti alla persona che stanno inondando di merda. Forse non riuscirebbero neanche a collegare due sillabe, talmente alto sarebbe il timore nell’avere un criminale di fronte agli occhi. Cosa farebbero? Reagirebbero o rimarrebbero immobili con il cuore in gola per la forte paura?
Tutte reazioni probabili, ma solamente una sono certo che non avverrà: non si chiederanno mai se l’oggetto del timore che hanno di fronte sia, prima di tutto, un essere umano.
No. Sarà sempre e solo un mostro, una minaccia indefinita. 
Nel momento in cui la paura arriva ad un livello tale da non far capire se il tempo si sia fermato o sia trascorso ad una velocità elevata, qualunque cosa intorno a sé muterà rendendola altrettanto spaventosa.
Ma cosa si nasconde dietro quel mostro?

Piano 1
Ancora una volta le portiere si aprono dopo il classico suono tintinnante.
«Dammi una mano Jerry, queste buste pesano un quintale ciascuno» dice una giovane donna dai capelli rossi e lisci accompagnata dal probabile fidanzato.
«Non è un problema mio se hai deciso di comprare lattine di frutta sciroppata in quantità industriale. Non stiamo andando a vivere in un bunker» replicò il ragazzo, aiutando la compagna.
Osservo in silenzio il via vai della gente negli androni del centro commerciale al di là delle porte, mentre Granny si rivolge ai due facendo loro dei vivi complimenti su come siano una coppia giovane e salda, augurando loro un fantastico futuro insieme.
«Scendete?» domando senza spostare lo sguardo.
«Sì, parcheggio interrato.»
«Benissimo» dico premendo il tasto B1. «Anche noi.»
Le portiere si chiudono davanti ai miei occhi.
Un futuro fantastico… come no, lo vorrebbero tutti. 
Purtroppo, chi viene giudicato un mostro non potrà mai averlo. Vivrà sempre con l’ansia di essere visto dalla gente come il personaggio malvagio di un film horror.
Anche io avevo un futuro fantastico, di quelli da fare invidia a molti. 
Avevo mia moglie Kate: la amavo più di ogni cosa in questo mondo ed era l’unica cosa bella che avessi. L’unica donna che riuscì a far dimenticare il mio passato da incubo; quel trauma indelebile che si impossessò di me quando da bambino assistetti all’assassinio di mia madre e al suicidio di mio padre, dopo essere stato ferito alla spalla da una pallottola sicuramente mortale se solo non mi fossi spostato all'ultimo istante.
Mio padre. Non riesco ancora a reputarlo una persona cattiva, nonostante abbia fatto sparpagliare il cervello di mia madre sul muro e mi abbia lasciato agonizzante in una pozza di sangue per poi farmi assistere alla sua ineluttabile morte. 
Ad ogni modo... Kate venne colpita improvvisamente da un ictus cerebrale e sebbene fosse stata salvata grazie ad un’operazione d’urgenza, entrò in coma restandoci per due anni. Due anni di sofferenza per un marito che non riusciva a vivere senza il suono della sua voce o il calore del suo abbraccio. 
Un giorno mi dissero che non si sarebbe mai più svegliata. Problemi di neuroni o qualche altra stronzata medica del genere: poco mi importava, sapevo cosa avrei dovuto fare.

Piano 0
Staccai la spina. 
La vidi morire sotto i miei stessi occhi. 
Mi ero sporcato di un crimine che tutt’ora sento pesante dentro di me come un macigno. Un fardello di cui mi accorgo in continuazione quando aiuto gli altri ad alleviare le loro sofferenze.
Io non voglio che la gente soffra, non voglio che passino ciò che ho passato. 
Li aiuto, quindi, proprio come ho aiutato Kate che sarebbe rimasta incollata ad un letto d’ospedale per il resto della sua vita.
‘Prevenire è meglio che curare’ si dice.
È questo ciò che faccio: prevengo ed evito che l’inferno ricco di tormenti spalanchi le sue porte davanti a gente che non deve, in alcun modo, essere gettata in esso.
Eppure chiunque potrebbe definirmi cattivo... un mostro... senza che sappiano la realtà dei fatti.
“È questo ciò che faccio” penso mettendo una mano in tasca, impugnando poi quell'arnese affilato.

Piano B1
Le porte si spalancano facendo vibrare l’intero ascensore.
Esco fuori. 
Chiudo gli occhi e prendo una grande boccata d’aria fresca, ben differente dal tanfo del sangue sgorgato dalle gole sgozzate di Granny, di Jerry e della sua fidanzata.
Mi dirigo verso l’auto e mentre osservo le mie mani color cremisi sorrido soddisfatto.
...
Io non sono cattivo.
                                                    
  

domenica 27 maggio 2012

Piccoli Aggiornamenti

Piccoli.
Insomma... per me potrebbero anche essere piccoli ma per altri potrebbero anche essere significativi ed importanti (cosa di cui dubito fortemente).
In teoria avrei dovuto scrivere questo post un paio di giorni fa, ma per un motivo o per un altro non sono proprio riuscito a farlo.

Ad ogni modo. Partirei con l'aggiornamento più recente:



La storia di Project Sun è conclusa.
No, non tutta. Solo quella necessaria per la realizzazione del primo numero. Se paragonata all'intera storia potrei affermare di essere semplicemente all'inizio, il che per me è un bene.
Come al solito, quando scrivo, finisco per affezionarmi terribilmente ai miei stessi personaggi e non mi sento pronto ad abbandonarli così presto. Proprio come è successo con i personaggi de "L'ira dei Quattro", anche in questo caso mi risulta difficile non pensare alle sorti di ogni singolo personaggio, alla loro personale storia e al loro particolare carattere. Forse è proprio questo particolare affetto che fa di una storia, una BUONA storia. O forse sono semplicemente io lo stupido che si affeziona a personaggi inesistenti presenti solo all'interno della mia mente, proprio come succede da bambini con l'amichetto immaginario. Però sono contento che ciò avvenga... e al diavolo ciò che pensa la gente. Corretto ragionamento, giusto?

Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che in un modo o nell'altro stanno dimostrando il loro interesse sia a me che a Valeria per questo progetto. Quando mi dicevano che è proprio il pubblico la vera fonte di carica per andare avanti stentavo a crederci, adesso (seppur ancora si sappia poco e niente riguardo la trama) ne sono consapevole.
Voglio inoltre ricordare a chiunque bazzichi qui dentro, che il sito della Ribellione aspetta solo nuove reclute. Tra un paio di giorni cominceranno ad essere inviati messaggi da parte dei Crushed Ice... e vi dico già da subito di cominciare a spremervi le meningi perchè leggerli non sarà una passeggiata.

Project Sun Website
Project Sun on Twitter
Project Sun Facebook Page






Ho vinto Muses.
Grazie ad un contest indetto da Mondadori, sono riuscito a vincere una copia di un libro che mi ha ispirato sin dalle prime notizie gettate a piccole quantità su Facebook o Twitter.
Parlo proprio di Muses, il nuovo libro di Francesco Falconi.
Ho "semplicemente" creato un piccolo Booktrailer che potete trovare QUI e poi c'è stata una sfirza di "Mi piace"
Quindi grazie mille a tutti coloro che hanno messo un "Mi piace" al suddetto video, volontariamente e non (quest'ultima forse non dovevo dirla).
Ad ogni modo, spero di iniziare a leggere il suddetto libro (che ho ricevuto immediatamente grazie alla insolita efficienza delle poste) che Francesco ha autografato con tanto di dedica. Purtroppo ho ancora due libri da completare ma non passerà molto prima che io li finisca e inizi questo. Comunque ne sono certo, non ne rimarrò deluso.



Pulsarshine.
Ok... l'avevo interrotto per dedicarmi a Project Sun, ma non per questo ho smesso di pensarci. Lentamente la trama è stata elaborata nella mia testa (insieme a quella di Project Sun, L'Ira dei Quattro e Seaways... sì, sono folle). Eppure come è successo per altre storie, e come prima avevo scritto, bisogna affezionarsi ai personaggi e alle loro personali vicende. Tutto ciò non sta avvenendo con Pulsarshine, e non so se esserne angosciato o prendere la cosa con diffidenza. Mi spiego: la trama a me piace (ci mancherebbe se non mi piacesse) e piace anche alle sole due persone a cui l'ho fatta leggere; i personaggi fin'ora non mi hanno deluso e devo dire che Nadia ha un carattere particolare rispetto a tutti gli altri miei personaggi, quindi dovrebbe in teoria spronarmi. Eppure ancora io e loro siamo due entità separate, non abbiamo trovato quel punto di unione che ci permetta di convivere insieme fino alla fine della storia. Con ciò non sto dicendo che non la continuerò, anche perchè sono convinto che lentamente un qualche tipo di unione verrà a galla. O almeno lo spero.




Racconti in raccolta.
Cioè? Mi spiego... ho partecipato a due concorsi (per l'esattezza Asylum 100 e Non spingete quel bottone) rispettivamente con due racconti: Paura e Io non sono cattivo.
"Proviamoci" ho pensato inviandoli entrambi. "Cos'ho da perdere?"
Ebbene, dopo un paio di settimane è giunta notizia che "Paura" è stato scelto per far parte della raccolta Asysum 100. Potete solo immaginare la mia felicità non appena l'ho saputo.
Per quanto riguarda "Io non sono cattivo" c'è ancora da aspettare, dato che di solito dicono se è stato accettato o meno. Ma sono fiducioso e chissà se tra qualche giorno posterò un altro aggiornamento con un'altra buona notizia.



Fine degli aggiornamenti.
Andate in pace.

domenica 13 maggio 2012

La forza dell'odio




«Quanti questa volta?»
La mia voce è assente, sembra quasi che a parlare non sia una persona ma un automa. Posso solo immaginare la risposta: è scontata ovviamente. Perché l’ho chiesto quindi? Per avere un briciolo di speranza? Per convincermi che forse il numero è stato dimezzato rispetto all’ultima volta?
Forse non voglio sapere quanti, ma chi.
«Jackt, Holloway, Baker, Madison, Davies e Willard» risponde l’uomo in piedi accanto a me.
Il suo tono è freddo, senza un briciolo di emozione. Sapeva meglio di me ciò che volevo: ormai è impossibile non riuscire a capire al volo un proprio compagno.
Non sposto lo sguardo dal muro crepato e in parte corroso che ho di fronte. Come potrei? Lì, in quella parete illuminata dalla fioca luce gialla della lampada che oscilla dal soffitto, c’è la mia personale bacheca alla quale affiggo le foto dei miei compagni caduti. Tra le cinquanta già presenti in essa vedo aggiungersi quasi per magia quelle dei sei appena nominati.
«Fuori piove a dirotto, il terreno è un ammasso di fango e acqua putrida. Il forte vento copre ogni forma di rumore… Non sapevano che li stavano aspettando.»
«Mi basti sapere questo. Voglio ricordarli come degli eroi, non come degli stolti» gli dico non smettendo di fissare il muro mentre sento l’uomo posare il fucile a terra, per poi sedersi al mio fianco. Avverto la sua forte mano poggiarsi sulla mia spalla sinistra nello stesso momento in cui la bacheca immaginaria svanisce davanti ai miei occhi, facendo riapparire il muro deturpato.
Un conforto. Ecco cosa vuole trasmettermi con quel gesto, in tempi come questi è tutto ciò che ci rimane: sapere di aver accanto qualcuno di importante, in grado di alleviare i problemi e far mutare in dei semplici ostacoli le continue minacce che questa guerra ci pone.
Appoggio la mano sulla sua chiudendo gli occhi e abbassando il capo.
Quanti morti dall’inizio? Quanti amici abbiamo perso? Quante persone che hanno fatto parte della nostra vita adesso non ci sono più? Ho perso il conto. No, in realtà non l’ho mai iniziato per non associare dei numeri a delle persone: una conta di sangue in continua crescita, giorno dopo giorno.
«Ce la faremo» mi dice l’uomo stringendo la presa sulla mia spalla.
«Hai paura, Zane?» gli chiedo non aprendo gli occhi.
«Costantemente. Ma è il pensiero di ciò che potrei perdere a metterla in secondo piano.»
Ciò che potremmo perdere allevia la paura. Strano, avrei detto il contrario, dato che in un caso come questo la paura viene accentuata. Non riuscirei mai a placare il mio terrore se solo pensassi di poter perdere qualcuno a me caro.
Una potente esplosione proveniente dalla superficie fa vibrare lo stretto cunicolo nel quale mi trovo. Non alzo gli occhi, non mi faccio prendere dal panico. È una cosa ormai normale, come le piccole scosse sismiche in una regione vulcanica.
Ciò che potrei perdere…
Non so chi ci fosse nella precedente vita di Zane, o chi ci sia ancora. Non abbiamo mai parlato di questo, sappiamo entrambi che il passato è l’arma più pericolosa di tutte: ci uccide lentamente nella maniera più cruda e violenta. Non possiamo sfuggirgli, ma non parlarne fa in modo di non accelerare il processo di tortura psicologica. Velocizza semplicemente il tempo che intercorre tra questo scempio che ormai ci ostiniamo a chiamare vita e la morte. Ma ormai di tempo ne è rimasto ben poco e ogni secondo passato qui è semplicemente un numero in meno nel countdown che si avvicina inesorabilmente verso lo zero.
«Cosa hai da perdere?» gli domando senza pensare minimamente di togliere la mia mano dalla sua.
«La mia voglia di vivere» risponde Zane. «Fin quando ho quella ad alimentarmi so bene che la paura di non farcela sarà sempre dimezzata.»
Quelle parole colpiscono la mia psiche quasi fossero delle frecce acuminate, scagliate addosso ad un manichino che funge da bersaglio.
«E tu? Hai qualcosa per cui vale la pena restare in vita?»
«Non qualcosa, ma qualcuno» gli rispondo.
«Senti senti. Riley ha qualcuno nella sua vita per cui vuole restare vivo. E dimmi un po’… chi è?»
«Una donna…»
«Ma quante fantastiche rivelazioni!» dice Zane con entusiasmo mentre mi accorgo che la sua voce esprime allegria allo stato puro.
Mi domando come ci riesca. Come può avere sempre quel tono gioioso, quando fuori di qui la gente non ha ancora capito per quale motivo si combatte ormai da quattro anni?
«Non credevo avessi una donna. Perché non mi hai mai detto nulla?»
«Perché non lo ritenevo necessario.»
«E adesso?»
Il mio respiro regolare tradisce la mia tristezza. Pensare a lei, alla sua bellezza e all’amore che provavo – e continuo ancora a provare – mi distrugge da dentro. È un incendio che parte dal mio cuore e lentamente si propaga anche al resto del corpo. Tengo ancora lo sguardo abbassato.
«Adesso le carte in tavola sono cambiate.»
«In che senso?»
Preferisco non toccare l’argomento. Per quanto male possa fare, credo che restare in silenzio sia la scelta più giusta.
«Avresti dovuto conoscerla. Credo che ti sarebbe piaciuta all’istante. Tutti coloro che avevano il piacere di incontrarla mi dicevano quanto io fossi fortunato ad avere al mio fianco una donna come lei» gli dico con un filo di voce. La mia gola è secca come un deserto e l’aria che continuo a respirare non agevola per niente la situazione. «Non so quello che darei per stare ancora un solo secondo insieme a lei. Non hai idea, Zane. Non hai idea di quanto mi manchino i suoi abbracci o le sue semplici parole. La sua voce… diamine, se ci penso sembra che lei sia proprio qui accanto a me, per rincuorarmi di…»
Una seconda esplosione interrompe le mie parole. L’intero rifugio sembra voglia crollarci addosso e il pulviscolo che cade dal soffitto sembra approvare la mia ipotesi. Stringo maggiormente la mano di Zane mentre alzo gli occhi al soffitto: una reazione del tutto involontaria ma che sembra aiutarmi e darmi incoraggiamento. Dopo qualche secondo tutto sembra finire così come è iniziato.
Respiro profondamente. La polvere mi entra nelle narici e il suo odore pungente sembra graffiarmi le vie nasali fino ad arrivare ai polmoni. L’istinto di tossire è alto, ma non lo faccio. Se avessi dovuto seguire ogni mio singolo istinto sarei già morto da parecchio tempo. Voglio godermi quella strana sensazione.
«Sai Zane, non credo che la rivedrò più.»
«Cosa stai dicendo? Vinceremo questa battaglia. Tornerai da lei e farò in modo di conoscerla.»
«Potremmo vincere la battaglia, ma la guerra l’abbiamo già persa prima che iniziasse. Guarda in faccia la realtà» gli dico alzando leggermente il tono della voce mentre abbasso il viso a terra. Serro i denti e stringo la mano libera in un pugno. «Non doveva succedere! Nulla di tutto questo! Eppure guarda come ci siamo ridotti? E per cosa poi? Per combattere un nemico senza identità che è nato dopo gli eventi a Grand Island! Io… io non la rivedrò più.»
La sua mano lascia la mia spalla e improvvisamente sento un senso di vuoto incolmabile, vorrei afferrargliela e costringerlo nuovamente a poggiarla dove era prima, eppure resto immobile a sopportare quella momentanea solitudine. Lo sento alzarsi per poi inginocchiarsi di fronte a me. Entrambe le sue mani mi afferrano il viso costringendomi ad alzare gli occhi per incrociare il suo sguardo. Mi oppongo applicando la forza necessaria per restare con il volto verso il basso.
«Riley, guardami!» mi ordina Zane.
Non voglio farlo. Non ho intenzione che veda…
«Ti scongiuro, non nascondere le tue lacrime, amico mio. Sei uno dei pochi che ha ancora la forza necessaria per piangere.»
Solo quelle parole sono in grado di sbloccarmi. Alzo gli occhi su quelli verdi di Zane che mi osserva in silenzio. La vista mi si appanna, comincio a vedere molteplici copie dell’uomo che ho di fronte a me, mentre il labbro inferiore comincia a tremare.
“Calmati! Per Dio, calmati!” continuo a ripetermi mentalmente nel contempo in cui avverto un nodo stringersi alla mia gola.
Emetto un singhiozzo sofferente quando mi accorgo che due lacrime scivolano lungo le mie guance. Le mani di Zane mi afferrano nuovamente le spalle; come prima non mi oppongo, ma continuo semplicemente a guardarlo negli occhi, il cui colore sembra sfocarsi.
«Vorrei semplicemente che fosse qui. Lei saprebbe darmi la forza necessaria per andare avanti. Proprio come ha sempre fatto sin dal primo giorno in cui la conobbi. Le sue ultime parole mi rimbombano ancora in testa» dico con voce sussurrata. Gli occhi mi stanno bruciando come due tizzoni ardenti e devo obbligatoriamente battere le palpebre alcune volte per alleviare quel dolore. «Quando ci separammo quattro anni fa. Erano appena iniziati i primi attacchi e per il bene di tutti decisi di affrontare la minaccia, sebbene all’epoca non ne conoscessi la natura. Mi abbracciò e mi disse di non combattere dominato dalla forza dell’odio. All’epoca non capii di cosa parlasse ma adesso…»
«Ehi, non sei obbligato a parlarmene. Lo sai.»
«…sto combattendo una guerra spinto semplicemente da quell’odio dal quale mi aveva messo in guardia. Per i miei compagni caduti. Per il futuro del nostro mondo. Per la loro predominanza numerica. Ogni stralcio di sentimento positivo è stato annullato dal primo momento in cui impugnammo un’arma.»
La lampada appesa al soffitto oscilla a destra e a sinistra provocando quell’effetto disturbante che mi fa cadere maggiormente nello sconforto.
«Perché stai dicendo queste cose?» mi chiede l’uomo che ho di fronte.
Prima che io possa rispondere, una porta in fondo al corridoio viene aperta dall’esterno con un potente calcio. Sull’uscio un uomo sui sessant’anni richiama la nostra attenzione.
«Riley Britt!»
Chiudo gli occhi cercando di alzarmi in piedi.
«Cos… no! Che storia è questa?!» strepita Zane indirizzando l’indice in direzione dell’uomo alla porta.
«Ho sempre impressa l’immagine di lei voltata di spalle, rivolta verso i fornelli mentre prepara la colazione: l’odore delle uova e del bacon che sfrigolano in padella; lo sciroppo d’acero sopra il tavolo accanto ad una torre di pancake. Poi si volta e con la sua espressione sorridente mi da il buongiorno» continuo a parlare rimettendomi in piedi e imbracciando il fucile.
Il mio compagno sgrana gli occhi, la bocca semiaperta mentre osserva alternatamente me e l’uomo alla porta. «Riley no!»
«Mi dispiace, Zane.»
«No!» urla mettendosi tra me e lui. «Non sei ancora pronto!»
Lo scosto con la mano oltrepassandolo per dirigermi verso il mio superiore a braccia conserte. Sento la mano forte stringermi il braccio per bloccarmi.
«Riley, perché?»
«Gli ho ordinato di uscire in superficie poco più di un’ora fa» risponde l’uomo alla porta.
«Krys! Figlio di puttana!» sbraita Zane agitandosi per correre verso di lui e probabilmente ucciderlo con le sue stesse mani.
Lo blocco, osservandolo negli occhi. Scuoto la testa in segno di negazione. Altre lacrime sgorgano dai miei occhi, ma a differenza di prima, le mie labbra abbozzano un sorriso. «Sei un amico Zane. Mi sei sempre stato accanto, non ti ho mai chiesto nulla. Ma adesso ti affido un compito importante.»
Non riesco a placare la sua rabbia, ma sembra essere più ragionevole di quanto pochi istanti prima non fosse.
«Non affidarmi nessun compito. Qualunque cosa tu debba fare… la farai al tuo ritorno.»
«Se mai tu dovessi ritrovarti al Rifugio 617, cercala e dille di perdonarmi per non averle mai dimostrato quanto bene io le volessi. Se davvero mi conosci, non avrai problemi a riconoscerla…»
Le sue braccia mi cingono in un abbraccio, capisco che non vuole lasciarmi andare. Cazzo, non voglio andare io stesso.
«Lo farò. Lo farò Riley, dovesse essere l’ultima cosa che faccio prima di lasciare questo mondo.»
«Grazie» gli sussurro stringendo tra le mani la sua divisa.
«Come si chiama?» mi chiede con tristezza.
«Grace, ma io…» deglutisco e chiudo gli occhi ancora una volta. «Io l’ho sempre chiamata mamma