martedì 3 luglio 2012

Io non sono cattivo



Piano 2
Un suono tintinnante. Vedo le portiere aprirsi davanti ai miei occhi, permettendo all’anziana donna settantenne di entrare nella cabina. La scruto con la coda dell’occhio: alta un metro e cinquantotto, più o meno; ha braccia sottili e mani tozze mentre la pelle, sebbene raggrinzita, non riesce a mascherare la perduta bellezza che un tempo ormai lontano possedeva. Non riesco a vederle il colore degli occhi, ma la mia mente inspiegabilmente crede che siano azzurri. Be’, accontentiamola: la donna ha gli occhi azzurri e i capelli bianchi raccolti in uno chignon; indossa un paio di occhiali da vista che le scivolano sulla punta del naso.
Ad un tratto la riconosco.
Dannazione! Come diamine ho fatto a non accorgermi di avere Granny al mio fianco, l’amorevole nonnina di Gatto Silvestro e Titti?
«Giovanotto, potrebbe dirmi che ora segna il suo orologio?»
“Non ridere, non ridere” penso appurando che perfino la voce è identica a quella del personaggio dei cartoni.
«Sono quasi le 18:20. Le 18:17 per essere precisi» le dico con serietà dopo aver osservato l’orologio.
«Caspiterina è davvero tardi. Ma non posso ritardare. A casa il mio piccolo gatto mi aspetta. Chissà che colpo potrebbe prendergli se non mi vedesse tornare.»
Ho una voglia matta di chiederle se il gatto in questione si chiami Silvestro e ciò non fa che aumentare la mia voglia di ridere, ma mi sforzo affinché io non lo faccia.
La vecchietta continua ancora a parlare del suo amato gatto che la rende felice, o forse sta parlando di qualcos’altro. Non posso saperlo. I miei pensieri sono rivolti in altre direzioni, ben differenti dalle problematiche dell’anziana donna.
Sembra così cordiale e simpatica con me. Come cambierebbe la sua opinione se solo sapesse…
A volte mi chiedo cosa avvenga all’interno del cervello di un essere umano quando punta il dito contro qualcuno accusandolo di essere malvagio, o come viene più comunemente detto, cattivo. Negli ultimi tempi, in particolar modo, questo quesito mi rimbomba in testa continuamente e non posso far nulla per smettere di pensarci.
La mattina, appena sveglio, non spero altro che al notiziario delle 8:00 non ci siano notizie sconcertanti: uccisioni, rapimenti, stupri, truffe e chi più ne ha più ne metta. Lo spero, non tanto per la notizia in sé – sono ormai abituato alla dura realtà della vita, e coprire occhi ed orecchie sarebbe solo un pretesto per non accettare il mondo in cui viviamo – ma semplicemente per non vedere i volti di coloro che accusano i responsabili di quei crimini, tantomeno per sentire le loro tediose testimonianze verbali.
Odio vedere gente con le mani davanti alla bocca, con gli occhi sgranati o con un’espressione di rabbia nei loro volti. Tutti raccolti nelle zone vicine al luogo in cui è stato commesso il reato, come se ci fosse il ‘prendi tre e paghi due’ in un vecchio e squallido minimarket del centro.
Formiche. Ecco cosa sembrano. Formiche vicino ad un formicaio: un buco nero nel terreno contornato da una moltitudine di puntini agitati che aspetta solo una suola che cali violentemente su di esso, radendo tutto al suolo e causando uno sterminio di massa. 
Ammetto che mi divertirei parecchio se vedessi un enorme piede schiacciare quella folla ammucchiata, facendone una frittata di sangue e ossa.
Le mie orecchie si rifiutano di ascoltare le loro parole di dissenso, ricche fino all’orlo di perbenismo mentre sputano ad un microfono la loro morale, solamente per inabissare sotto un mare di fangosi vocaboli colui che è reo del crimine in questione. 
Sono stufo delle loro schifose sentenze; che se le tengano per loro e non facciano quelle stupende comparse davanti ad una telecamera, accusando qualcuno che non hanno mai visto.
Sarebbe una soddisfazione verificare se avessero il coraggio di dire le stesse cose davanti alla persona che stanno inondando di merda. Forse non riuscirebbero neanche a collegare due sillabe, talmente alto sarebbe il timore nell’avere un criminale di fronte agli occhi. Cosa farebbero? Reagirebbero o rimarrebbero immobili con il cuore in gola per la forte paura?
Tutte reazioni probabili, ma solamente una sono certo che non avverrà: non si chiederanno mai se l’oggetto del timore che hanno di fronte sia, prima di tutto, un essere umano.
No. Sarà sempre e solo un mostro, una minaccia indefinita. 
Nel momento in cui la paura arriva ad un livello tale da non far capire se il tempo si sia fermato o sia trascorso ad una velocità elevata, qualunque cosa intorno a sé muterà rendendola altrettanto spaventosa.
Ma cosa si nasconde dietro quel mostro?

Piano 1
Ancora una volta le portiere si aprono dopo il classico suono tintinnante.
«Dammi una mano Jerry, queste buste pesano un quintale ciascuno» dice una giovane donna dai capelli rossi e lisci accompagnata dal probabile fidanzato.
«Non è un problema mio se hai deciso di comprare lattine di frutta sciroppata in quantità industriale. Non stiamo andando a vivere in un bunker» replicò il ragazzo, aiutando la compagna.
Osservo in silenzio il via vai della gente negli androni del centro commerciale al di là delle porte, mentre Granny si rivolge ai due facendo loro dei vivi complimenti su come siano una coppia giovane e salda, augurando loro un fantastico futuro insieme.
«Scendete?» domando senza spostare lo sguardo.
«Sì, parcheggio interrato.»
«Benissimo» dico premendo il tasto B1. «Anche noi.»
Le portiere si chiudono davanti ai miei occhi.
Un futuro fantastico… come no, lo vorrebbero tutti. 
Purtroppo, chi viene giudicato un mostro non potrà mai averlo. Vivrà sempre con l’ansia di essere visto dalla gente come il personaggio malvagio di un film horror.
Anche io avevo un futuro fantastico, di quelli da fare invidia a molti. 
Avevo mia moglie Kate: la amavo più di ogni cosa in questo mondo ed era l’unica cosa bella che avessi. L’unica donna che riuscì a far dimenticare il mio passato da incubo; quel trauma indelebile che si impossessò di me quando da bambino assistetti all’assassinio di mia madre e al suicidio di mio padre, dopo essere stato ferito alla spalla da una pallottola sicuramente mortale se solo non mi fossi spostato all'ultimo istante.
Mio padre. Non riesco ancora a reputarlo una persona cattiva, nonostante abbia fatto sparpagliare il cervello di mia madre sul muro e mi abbia lasciato agonizzante in una pozza di sangue per poi farmi assistere alla sua ineluttabile morte. 
Ad ogni modo... Kate venne colpita improvvisamente da un ictus cerebrale e sebbene fosse stata salvata grazie ad un’operazione d’urgenza, entrò in coma restandoci per due anni. Due anni di sofferenza per un marito che non riusciva a vivere senza il suono della sua voce o il calore del suo abbraccio. 
Un giorno mi dissero che non si sarebbe mai più svegliata. Problemi di neuroni o qualche altra stronzata medica del genere: poco mi importava, sapevo cosa avrei dovuto fare.

Piano 0
Staccai la spina. 
La vidi morire sotto i miei stessi occhi. 
Mi ero sporcato di un crimine che tutt’ora sento pesante dentro di me come un macigno. Un fardello di cui mi accorgo in continuazione quando aiuto gli altri ad alleviare le loro sofferenze.
Io non voglio che la gente soffra, non voglio che passino ciò che ho passato. 
Li aiuto, quindi, proprio come ho aiutato Kate che sarebbe rimasta incollata ad un letto d’ospedale per il resto della sua vita.
‘Prevenire è meglio che curare’ si dice.
È questo ciò che faccio: prevengo ed evito che l’inferno ricco di tormenti spalanchi le sue porte davanti a gente che non deve, in alcun modo, essere gettata in esso.
Eppure chiunque potrebbe definirmi cattivo... un mostro... senza che sappiano la realtà dei fatti.
“È questo ciò che faccio” penso mettendo una mano in tasca, impugnando poi quell'arnese affilato.

Piano B1
Le porte si spalancano facendo vibrare l’intero ascensore.
Esco fuori. 
Chiudo gli occhi e prendo una grande boccata d’aria fresca, ben differente dal tanfo del sangue sgorgato dalle gole sgozzate di Granny, di Jerry e della sua fidanzata.
Mi dirigo verso l’auto e mentre osservo le mie mani color cremisi sorrido soddisfatto.
...
Io non sono cattivo.