venerdì 20 aprile 2012

Vorrei che avessimo avuto più tempo




Vorrei che avessimo avuto più tempo.
Avrei davvero voluto che la nostra felicità durasse in eterno… o comunque più di quanto io stesso, con la mia percezione da comune mortale, riesca ad immaginare.
Avevo grandi piani per noi, e ti assicuro che non sono un tipo che costruisce progetti per la sua vita futura; ho sempre preferito vivere come se non ci fosse mai un domani, alla giornata, con la consapevolezza che forse quel giorno sarebbe stato l’ultimo.
Già. Prima di conoscerti la mia vita era parecchio strana e ben differente rispetto a quella di adesso. Non ero per niente responsabile e la serietà era qualcosa a me totalmente ignota.
Vuoi che ti faccia un esempio?
Erano rari i casi in cui la mattina aprivo gli occhi e non trovavo nessuno al mio fianco, qualcuno con cui la notte prima era avvenuto uno scambio di emozioni e brividi. L’illusore, era così che mi chiamavano. Per molti anni ho fatto parte di quella cerchia di persone che adesso odio con tutto me stesso: ero colui che abbordava fantastiche ragazze in discoteca, che le seduceva con parole dolci e al tempo stesso fredde come una stalattite e che se le scopava senza un briciolo di passione, promettendo poi cose che ovviamente non avrebbe mai mantenuto. Sapessi la mia rubrica come straripava di numeri ai quali avrei dovuto richiamare, non ne avresti la più pallida idea.
“Ci rivedremo, non è così?” mi chiedevano.
“Certamente! Come no!” pensavo con sarcasmo ogni singola volta, mentre la mia bocca pronunciava parole che esprimevano un concetto chiaramente opposto ed fittizio. Il mio compito era dar loro quel piacere primordiale che qualunque persona sente il necessario bisogno di ricevere, e lo ricevevano… cavolo, eccome se lo ricevevano. E vogliamo parlare della soddisfazione che poi accomunava entrambi? Una sensazione che scemava lentamente man mano che i minuti passavano. Osservavo quasi ogni notte un soffitto differente nel buio di una camera da letto, mentre pensavo al divertimento provato poche ore prima.
Divertimento: era questo il fulcro di tutto.
Non lo nego, mi divertivo senza sperimentare alcuna emozione; ero semplicemente una macchina pronta a soddisfare la ragazza di turno quella determinata sera. All’inizio di ogni rapporto me ne vantavo anche, ma durante le ore notturne in cui sentivo il respiro pesante della persona che dormiva al mio fianco, reputavo me stesso come l’essere più squallido di questo mondo.
Potevo cambiare, avrei potuto fare in modo di smetterla una volta per tutte di comportarmi così.
“Perché non l’hai fatto?” mi avresti chiesto.
La risposta è semplice: non volevo. Mi piaceva essere ciò che ero, sebbene ci fosse quel senso di disgusto che mi prendeva dopo un paio di ore dall’atto sessuale quotidiano.
Le mie giornate erano diventare tutte uguali: sveglia, lavoro in azienda, attività sportiva post lavoro, discoteca e notte di sesso. Quando quell’ultima mancava mi divertivo semplicemente scolando alcolici di diverso tipo.
In quel caso il divertimento era ben differente ma pur sempre piacevole. Ovviamente fin quando mi rendevo conto di ciò che stavo facendo: quando poi un fitto strato di nebbia avvolgeva il mio cervello il piacere passava e con esso ogni mia facoltà mentale. Molte volte mi sono svegliato disteso su un pavimento, con i vestiti sudici e i capelli zuppi di vomito. Man mano che il tempo passava, il sesso diminuì mentre le bottiglie vuote, con le loro etichette colorate nelle quali erano appena visibili le gradazioni, aumentavano a dismisura. Eppure, nonostante sapessi il risultato di ciò che quello schifo era in grado di provocarmi, non riuscivo a smettere di ingurgitarlo. L’alcol è come una droga, una volta provato non riesci più a farne a meno… hai bisogno di qualcuno che ti porti sulla retta via prima di perdere tutto ciò che ti rimane. Era proprio ciò che stava capitando a me, stavo perdendo amici e familiari per il mio scontroso carattere che quelle bevande fiammeggianti alimentavano.
Poi incontrai lei. Caroline.
Se ti dicessi che ci siamo conosciuti al supermarket mentre stavo proprio comprando altre bottiglie di vodka da scolarmi, non mi crederesti. Sai cos’era? Era come la luce in fondo al tunnel: quel bagliore che ti obbliga a dirigerti verso di lui in un modo o nell’altro.
E io cosa ho fatto?
L’ho seguita. Se solo avessi dato ascolto alla mia parte irrazionale adesso forse non sarei qui, e per certi versi sarebbe anche un bene… perché… perché…
No, non posso. Non posso.  Credimi, vedermi in queste condizioni sarebbe stata l’ultima cosa che avresti voluto. Voglio solo avere la serenità nell’accettare ciò che è accaduto.
Sono certo che non resisterò ancora a lungo: i ricordi e i pensieri mi fanno star male giorno dopo giorno mentre la fune alla quale sono aggrappato e che mi impedisce di precipitare nel baratro della disperazione si sta per spezzare.
Non esisteva attimo in cui non pensavo a ciò che avremmo fatto insieme; alle domande che mi avresti fatto come il perché esistano le stelle nel cielo, perché quest’ultimo durante la mattina è azzurro e la sera diventa magicamente nero, perché la luna è bianca e se è vero che è fatta di formaggio; la caduta del tuo primo dentino e il tuo primo giorno di scuola; i tentativi di dirti che per te ci sarei stato sempre anche quando la tua adolescenza ti avrebbe portato a reputarmi uno stronzo.
Sono tutte cose che… che non potremo più fare.
Quando seppi della tua esistenza tutto è cambiato per me, riuscivo a vedere ciò che prima mi era nascosto sebbene fosse stato sempre davanti ai miei stessi occhi. Soprattutto riuscivo a percepire sempre più l’umanità della gente che mi circondava, e pensavo che ogni singola persona aveva provato quella stessa felicità… quelle stesse emozioni che in quel momento alimentavano la mia voglia di vivere.
Carl.
Cerco sempre di convincere Caroline a non pronunciare il tuo nome. Quelle quattro lettere, messe una accanto all’altra che mi pugnalano una ad una. Eppure non puoi neanche immaginare quante volte lo pronunciavamo, come se fossi già qui con noi trasformando in un trio quella coppia che da più di cinque anni tentava di generare la vita.
Mi è caduto il mondo addosso quando ricevetti quella telefonata. Stavo proprio parlando di te con William, gli stavo riferendo che campione saresti stato, data la tua forza a scalciare. Ricordo con precisione ogni singola parola che mi venne comunicata, ricordo che la mia vista si appannò e per tre interi secondi non riuscii a vedere nulla, ricordo l’espressione di William quando gli dissi dell’accaduto. Non versai una lacrima, ma fu lui a versarne per me. Avrei voluto fartelo conoscere, sareste andati d’accordo insieme, ne sono più che sicuro. È una stupenda persona e un grande amico, ed è stato proprio lui ad accompagnarmi in ospedale sapendo che se avessi guidato io probabilmente ti avrei seguito in poco tempo.
Aborto.
Vaffanculo a quella dannata parola. Per me quel vocabolo equivale alla morte. Perché non mi dissero semplicemente ‘suo figlio è morto’ anziché ‘sua moglie ha avuto un aborto’?
Tutti i miei progetti vennero spazzati via nel giro di pochi istanti mentre abbracciavo tua madre che piangeva con disperazione su di me. Realizzai solo allora che tu non ci saresti mai stato… non saresti mai nato, ed io non sarei mai diventato tuo padre.
Adesso? Come sto adesso?
Come se avessi perso ogni cosa. Mi dicono di affidarmi alla fede, ma una domanda mi sorge spontanea ogni volta: se è vero che esiste un Dio là sopra, se realmente egli giudica e ha potere di decisione sulla vita e sulla morte di ogni singolo essere umano… perché… perché tra sette miliardi di persone ha dovuto scegliere proprio te?
So che pecco di presunzione e che in un angolo del mondo, in questo preciso istante un padre ha perso suo figlio.
Ma al diavolo, non me ne frega un cazzo!
Io ho perso te, ho perso mio figlio e non mi interessa nulla degli altri, perché tutto ciò che mi interessava è sparito insieme alla tua breve vita.
Avrei voluto portarti qui quando saresti stato più grande, in questa collina in periferia. A guardare il tramonto, seduti entrambi sull' erba verde, la schiena poggiata su questo vecchio albero mentre il vento avrebbe scosso le sue fronde. Ti avrei parlato di quando da bambino venivo qui per ammirare il fantastico paesaggio da favola, mentre mi estraniavo dal gruppetto di ragazzini che avevano sempre fatto i bulli con me. Ti avrei detto che era il mio posto segreto in cui riuscivo ad essere libero da ogni pensiero, e che a distanza di anni l’effetto era il medesimo. C’è sempre stata una strana calma qui, ed essa è sempre stata in grado di farmi stare bene. Forse è questo il motivo per cui sono venuto qui: per cercare la pace che al momento non riesco a trovare.
Dopo tre mesi da quell’orribile evento non ho ancora versato una lacrima, sono certo che sarebbe d’aiuto, ma sembra che io non ne sia capace. Un giorno, forse, riuscirò a piangere la tua scomparsa. Fino ad allora verrò qui ogni singolo giorno, pensando che vorrei avessimo avuto più tempo.

1 commento:

  1. : O oooou davvero toccante! Mi piace un sacco come tutto si sposta da un momento all'altro, negativo-positivo-ancora più negativo... E come i ricordi si susseguono a mosaico, me li visualizzo come se fosse un film!
    Però...non ce la fai proprio a non uccidere bambini! X'D il giorno che scriverai un racconto a lieto fine mi preoccuperò

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